Come si fa a capire se un bambino sta affrontando un periodo difficile, se sta risentendo di una situazione problematica, se è esposto ad eventi troppo stressanti per essere in grado di gestirli da solo?
A volte un genitore o un educatore che è in contatto frequente col bambino, ha modo di accorgersi da solo se il piccolo sta covando qualcosa. Ecco un elenco di possibile segnali da tenere sott’occhio.
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Il bambino può improvvisamente mettere in atto una serie di comportamenti non sempre funzionali che lo espongono a critica e ad esclusione dal gruppo dei pari, può infatti iniziare a mordere, alzare le mani, mostrarsi scontroso verso i compagni e talvolta anche verso gli insegnanti, dando risposte che prima non avrebbe mai osato dare.
Molto spesso tutto questo gli serve per mantenere alto il livello di attenzione su di lui, è ovviamente un comportamento acquisito sbagliato ma che lui vede portargli dei risultati, che gli permette di uscire dall’invisibilità.
Complici la facilità con cui ormai anche i bambini hanno accesso a telefonini e a videogiochi, diventati regali molto gettonati di compleanni o prime Comunioni, per cui si è disposti a spendere cifre non sempre contenute per accontentare i desideri del proprio figlio, e per non farlo sentire da meno rispetto agli amichetti che hanno già tale armamentario tecnologico, ecco che la diffusione di queste forme di divertimento finisce per assorbire in percentuali altissime il tempo dei bambini.
Non di rado appena svegli controllano il cellulare, oppure ci si attardano prima di andare a dormire, non di rado passano ore, non minuti, giocando da soli, o con gli amici virtuali, partite che li assorbono talmente tanto da fargli scordare che fuori c’è un mondo, ci sono degli stimoli alternativi, che non li eccitano tanto quanto il videogioco.
Considerando che già per un bambino di 3/4 anni 20 minuti di I-Pad sono più che sufficienti e le sue funzioni cerebrali riescono a tollerare tale stimolo, per i bambini più grandi un’ora al giorno di playstation è già più che sufficiente a soddisfare l’esigenza di svolgere una partita e divertirsi. Andare oltre tale limite di tempo è oltremodo sconsigliato, per non parlare poi del gioco con apparecchi elettronici fatto prima di andare a letto, quando il cervello è più passivo perché si prepara alle ore di sonno, e i danni che può procurare in termini di difficoltà nell’addormentamento e forti stati d’ansia si fanno più evidenti.
Questi bambini imparano in fretta uno schema comportamentale molto invalidante sul piano sociale, che non li sprona ad un confronto reale, ma gli propone la sicurezza ingannevole e fittizia della virtualità.
Spesso tuttavia anche quest’ultima li mette in trappola, provocando sentimenti di inferiorità rispetto al gruppo dei pari, di rabbia repressa, onnipotenza.
La sensazione finale che questi bambini provano è quella dell’isolamento, di cui molto raramente parlano. È quindi molto più facile che sia un genitore o un educatore ad accorgersi che il troppo tempo passato in casa davanti al telefonino o un videogioco possa essere un modo di chiudersi in un proprio mondo, e quindi a prendere l’iniziativa per aiutare in modo concreto questo bambino a riagganciarsi alla realtà.
Escludendo quella fascia di età che arriva fino ai 3 anni, in cui i ritmi del sonno/veglia ancora possono necessitare di un aggiustamento fisiologico, per cui non sempre il bambino dorme ancora bene la notte, e può avere dei risvegli anche frequenti, in seguito che riesca a farsi le sue belle ore di riposo diventa quasi scontato.
Quando si inizia a notare che si risveglia anche più di una sola volta a notte, o che ha un sonno agitato, con incubi frequenti, che piange mentre sogna, questi possono essere i primi campanelli d’allarme.
Poiché attraverso i sogni il bambino è libero di esprimere i suoi conflitti e far uscire allo scoperto le sue paure, decodificare questo segnale attraverso degli incontri mirati con uno specialista può risolvere in tempi brevi la situazione.
Sempre per quello che riguarda la sfera notturna, alcuni bambini soffrono di enuresi, pertanto se iniziano a fare la pipì nel letto quando ormai avevano da molto tempo imparato a controllare questa funzione (in genere massimo verso i 3 anni questa è acquisita), è possibile ipotizzare un forte disagio in corso.
Tra le cause più frequenti troviamo conflitti in famiglia, tra i genitori o tra i fratelli, la nascita di un fratellino, un forte stress scolastico…
Ci sono bambini che “scelgono” inconsciamente il rapporto col cibo come canale per manifestare un disagio di natura affettiva. Questa loro può essere considerata a tutti gli effetti una difesa contro un problema che non possono o sanno gestire diversamente.
Poiché l’atto del nutrire è il primo veicolo di comunicazione nella relazione primaria con la madre, se quest’ultima è portatrice di significati positivi, difficilmente il bambino la userà per sfogare il suo sintomo, al contrario se tale relazione primaria ha giocato un ruolo ambiguo o negativo per la psiche immatura dell’infante, è assai probabile che alla prima occasione egli la utilizzerà per esprimere come via preferenziale una sua difficoltà profonda.
Ecco dunque spiegato il motivo per cui alcuni bambini in concomitanza con un evento per loro stressante smettano di mangiare da che avevano sempre appetito, oppure inizino ad abbuffarsi, a divorare quantità ingiustificate di cibo per la loro età e per il loro stato di salute.
Va da sé che una madre che vede suo figlio non mangiare più inizia a preoccuparsi enormemente, immagina che c’è qualcosa che non va ma non riesce spesso a coglierne il motivo fino in fondo, e per natura le viene spontaneo insistere sul forzare a mangiare.
Anche in questo caso è auspicabile l’aiuto di uno specialista che aiuti i genitori a trovare un canale comunicativo efficace col proprio figlio, affinché egli abbandoni spontaneamente la sintomatologia, senza trovarsi privo di difese.
Per maggiori informazioni potete contattare la Dott.ssa Agnese Borghini scrivendo nel form di contatto
Psicologa, Psicoterapeuta presso il Centro Stella Maris, sito in Roma.